Come aumentare la produzione di ovuli?

Come aumentare la produzione di ovuli?

Fisiologicamente il ciclo ovarico di ogni donna prevede un preciso meccanismo di rilascio ormonale che regola ogni mese, a partire dalla pubertà il reclutamento follicolare, la selezione di un unico follicolo dominante, lo scoppio di quest’ultimo e la sua trasformazione in corpo luteo. Se la fecondazione, e di conseguenza l’impianto, non avvengono, il corpo luteo scompare, i livelli di estrogeni e progesterone circolanti si riducono, l’endometrio si sfalda e inizia il flusso mestruale. Tra i circa 20 follicoli che inizialmente sono reclutati ogni mese, solo uno giunge a maturazione.

La qualità degli ovociti portati mensilmente a maturazione è sicuramente legata a doppio nodo con l’età della paziente come conseguenza della riduzione della riserva ovarica, ossia il calo progressivo nel tempo del numero degli ovociti presenti in entrambe le ovaie.

Migliorare la risposta ovarica è quindi fondamentale per incrementare le possibilità di gravidanza.


E’ ormai ampiamente dimostrato che nei cicli di fecondazione assistita esiste una diretta correlazione tra numero di ovociti recuperati e probabilità di gravidanza. 

La stimolazione ovarica evita la naturale regressione della maggior parte dei follicoli che mensilmente sono reclutati e che non sarebbero destinati alla completa maturazione, col risultato di avere più follicoli maturi contemporaneamente. Per ottenere questa superovulazione controllata, si ricorre alla somministrazione di alcuni farmaci, selezionati in base alle specifiche condizioni della donna e della coppia.

Uno dei farmaci più spesso utilizzati come primo approccio perché molto maneggevole ed il cui uso comporta un basso rischio di complicanze è il citrato di clomifene, che viene assunto per via orale per 5 giorni a partire dal terzo o quinto giorno del ciclo. Il citrato di clomifene è attualmente considerato farmaco di prima scelta nel trattamento della policistosi ovarica. 

Nei casi più complessi, o in caso di resistenza al trattamento con citrato di clomifene, si ricorre alla somministrazione di gonadotropine ipofisiarie, mediante iniezioni sottocutanee, o talvolta intramuscolari. In passato questi farmaci erano estratti dalle urine delle donne in menopausa, ma è già da molti anni che l’industria farmaceutica ha messo a disposizione molecole ottenute con la tecnica del DNA ricombinante, e quindi più pure e più efficaci. 

Il monitoraggio ecografico ed ormonale che viene effettuato durante i cicli di stimolazione ha lo scopo di definire la risposta e orienta lo specialista nella scelta della minima dose efficace di gonadotropine. I dosaggi utilizzati per la singola paziente vengono inoltre stabiliti sulla base di diversi ulteriori criteri quali: la riserva ovarica, stimata sulla base della conta ecografica dei follicoli antrali e del dosaggio dell’ormone Antimulleriano; eventuali risposte a precedenti stimolazioni; l’età della paziente; l’indice di massa corporea.

Le gonadotropine ipofisarie sono di semplice utilizzazione dal momento che si trovano preparate in pratiche penne che facilitano l’autosomministrazione per la paziente e rendono più agevole il percorso terapeutico.


Nel caso di accesso a tecniche di fecondazione assistita di secondo e terzo livello viene prescritta una terapia preliminare con un ulteriore farmaco, il cosiddetto analogo del GnRH, l'ormone di rilascio delle gonadotropine. Questo allo scopo di prevenire interferenze ormonali negative sulla risposta ovarica come il picco spontaneo dell’LH, ormone luteinizzante, che è importante tenere sotto controllo nelle terapie di induzione dell'ovulazione per consentire una maturazione regolare e sincronizzata degli ovociti. Gli analoghi del GnRH possono essere utilizzati in formulazioni di deposito o giornaliere.

Negli ultimi tempi è diventato più comune l’uso degli antagonisti del GnRH, un tempo di scelta nelle donne con previsione di risposta ridotta o, al contrario, eccessiva alla terapia di somministrazione. 

Anch’essi impiegati con lo stesso scopo degli analoghi, sono ad oggi preferiti in generale e garantiscono una più comoda somministrazione. 


In tutti questi casi, dopo circa 5-6 giorni dall'inizio della terapia di stimolazione, si inizia il monitoraggio follicolare che prevede un esame ecografico per la valutazione del numero e delle dimensioni dei follicoli e, talora, un prelievo di sangue per il dosaggio degli ormoni da essi prodotti. L’ecografia permette anche di valutare i cambiamenti che gli ormoni prodotti dall’ovaio producono sull’endometrio, che è il rivestimento interno dell’utero destinato a ricevere gli embrioni. Il monitoraggio follicolare serve anche ad adeguare quotidianamente la terapia a quelle che sono le esigenze di ogni singola paziente, nonché a ridurre il rischio di una stimolazione ovarica eccessiva.


La risposta alla stimolazione ed il controllo della terapia sono fondamentali per la buona riuscita del ciclo di terapia. 


Quando i follicoli sono abbastanza grandi e producono livelli sufficienti di ormoni, si somministra un farmaco che è l’hCG (gonadrotopina corionica umana). La somministrazione di quest’ultimo ha lo scopo di indurre la fase finale della maturazione dell’ovocita e la rottura del follicolo. L’ovocita maturo espulso viene quindi risucchiato nella tuba ed è pronto all’incontro con il gamete maschile. 

Nei casi di tecniche di fecondazione assistita, il monitoraggio ecografico serve a seguire costantemente la risposta ovarica ed a decidere il momento più adeguato al prelievo degli ovociti, noto come pick-up ovocitario. Infatti, in queste pazienti, prima che avvenga la rottura del follicolo, si procede alla puntura ecoguidata per via transvaginale dei follicoli e all’aspirazione del fluido follicolare. Il liquido follicolare viene quindi inviato al laboratorio di embriologia per l’identificazione ed il recupero degli ovociti. 



Gli effetti collaterali della somministrazione di queste terapie sono in genere modesti e di breve durata e comprendono: lieve ritenzione idrica e leggero aumento del peso corporeo. La complicanza più grave è data dallo sviluppo della sindrome da iperstimolazione ovarica. Questo fenomeno si verifica raramente. Comporta un discreto aumento del volume ovarico, produzione di liquido all'interno dell'addome e comparsa di sintomi quali dolore, senso di peso, difficoltà alla respirazione, diminuzione della diuresi. Tuttavia, un attento monitoraggio clinico costituisce il più importante strumento a disposizione per limitarne l'incidenza.

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